La psicosomatica

“Disse la vecchia guaritrice dell’anima:
Non fa male la schiena, fa male il carico.
Non fanno male gli occhi, fa male l’ingiustizia.
Non fa male la testa, fanno male i pensieri.
Non fa male la gola, fa male quello che non si esprime o si esprime con rabbia.
Non fa male lo stomaco, fa male quello che l’anima non digerisce.
Non fa male il fegato, fa male la rabbia.
Non fa male il cuore, fa male l’amore.
Ed è proprio lui,
l’amore stesso,
che contiene la più potente medicina.”
Ada Luz Marquez

La psicosomatica, come ci racconta il dizionario Treccani, può essere definita come una corrente di pensiero che indaga il ruolo svolto dai fattori di ordine psicologico nei processi di malattia e di guarigione: mente e corpo, rappresentando un’unità indivisibile, vengono indagati e interpretati in quanto tale.

E’ un approccio non così distante da quello del nostro medico di famiglia, dottor Clemente, che veniva a farci visita quando ero piccola. Ricordo perfettamente la sua figura, il suo sorriso, il suo modo di essere accogliente ed empatico. Quando arrivava per prima cosa andava a lavarsi le mani che amava asciugare con un telo di lino, ed eccolo pronto ad ascoltare ciò che io, o un altro membro della mia famiglia, aveva da raccontare. Non era una mera elencazione dei sintomi bensì una chiacchierata sul dolore, il malessere ma anche su come andava la scuola, sui compagni di classe, sullo sport che si praticava in quel momento, sui rapporti con i fratelli, con mamma e papà. Poi si passava alla visita, al tanto odiato cucchiaio, strumento utile per tenere bassa la lingua durante l’osservazione della gola, alla palpazione addominale, all’osservazione degli occhi, della lingua, delle unghie, per poi chiedere notizie sulla pipì e sulla cacca: colore, consistenza, odore. Durante questa lunga e accurata visita veniva fuori tutto: i dolori, i fastidi, le paure, la rabbia, si faceva parlare il corpo, le emozioni, la mente.

Questo per me oggi, a distanza di quasi mezzo secolo, è un approccio psicosomatico: considerare la persona e non la malattia o il disturbo porta con sé la ricerca delle cause e non la soppressione del sintomo. La psicosomatica, infatti, nel senso più ampio del termine, rimanda ad una visione olistica che va ben oltre la netta separazione cara a Cartesio tra mente e corpo, considerando l’essere umano come un tutt’uno. Anche le nostre nonne avevano un approccio olistico quando ai bimbi raffreddati facevano un clistere, e per lo stesso motivo durante i miei studi non ho mai accettato di buon grado i famosi “protocolli”, un’impostazione che a parer mio non si sposa con i trattamenti olistici.

Le malattie hanno un significato evolutivo, ci segnalano cosa non va e dobbiamo cambiare, ecco perché cercare il senso è uno dei principi fondamentali della psicosomatica: attraverso la malattia parliamo di noi stessi, soffriamo nel corpo la sofferenza dell’anima. La medicina psicosomatica è una filosofia, una metodica terapeutica volta ad ottenere il meglio sia sul piano fisico che emotivo. Jung parlava di “sincronicità”: il corpo è un evento sincronico in cui si considera l’uomo come espressione della simultaneità psicofisica. Una gastrite comporta bruciore allo stomaco dal punto di vista fisico, a livello mentale comportamenti ed atteggiamenti di natura corrosiva, di mancata disponibilità ad accogliere il mondo.

Oggi, come ci ricorda Catia Trevisani, la psicosomatica è stata arricchita dalle religioni, dalle filosofie orientali, dalla fisica quantistica: c’è una nuova concezione della salute, la volontà di curare l’essere umano nella sua totalità considerando il sintomo come uno strumento di crescita e la malattia come un’esperienza necessaria per l’evoluzione.

E benessere non significa solo assenza di malattia, significa vivere in armonia rispettando i nostri ritmi, i cicli della natura, le fasi della giornata, significa nutrirsi con cibi sani (alimentarsi in modo più naturale) riconoscere e soddisfare i propri bisogni, dare spazio al proprio talento, coltivare le relazioni personali, purificare emozioni e pensieri, evolvere umanamente e spiritualmente.

La naturopatia e la riflessologia si inseriscono in questo approccio, hanno un ruolo evidentemente complementare rispetto alla medicina, ruolo che pian piano anche in Italia inizia ad essere riconosciuto. La riflessologia plantare entra negli ospedali, nelle sale parto, nei reparti oncologici proponendosi come un coadiuvante delle terapie ufficiali, aiutando il paziente nella gestione della situazione, stimolando l’eliminazione delle tossine e inducendo uno stato di rilassamento sempre importante ma che, in certe situazioni, diventa indispensabile.

Il termine salute in sanscrito significa “ritrovare le proprie radici” “ritrovare il proprio centro. Viviamo nella testa e il corpo è schiavo della mente, dobbiamo ritrovare la consapevolezza delle cause che hanno generato il malessere e prenderci cura della persona nella sua interezza. Il corpo (affidato al medico), la mente (affidata allo psicologo/psichiatra) e lo spirito (affidato al prete) sono aspetti complementari di un’unica esistenza e il malessere è la conseguenza di uno squilibrio sistemico.

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